1. Una premessa. Crediamo che la qualità di “esperto”, richiesta dall’art. 18, comma 3, dello Statuto del Comune di Modena per il rappresentante dei “soggetti” ammessi all’istruttoria pubblica, debba essere intesa nel senso di persona documentata sul tema di merito posto dalla specifica questione sulla quale è stata avvertita la necessità di stimolare contributi partecipativi di cittadini raccolti in “associazioni, comitati, gruppi” “portatori di interessi non individuali”. La persona che espone la opinione maturata responsabilmente sul tema da quell’insieme di cittadini. Crediamo cioè che non sarebbe effettiva partecipazione se si limitasse il suo oggetto ai profili tecnici che esigono la competenza specialistica assicurata formalmente da figure professionali riconosciute. Una competenza che in questo senso, se consideriamo il tema di merito della istruttoria qui aperta, non potrebbe dirsi assicurata neppure dagli stessi consiglieri comunali ai quali è affidata la conclusiva decisione. E dunque la questione in discussione nell’istruttoria non costituisce riserva tecnocratica. Il fine della istruttoria pubblica non è quello di raccogliere compiute formulazioni di progetti alternativi, quanto piuttosto contributi di idee e indicazioni di metodo, espressione dell’intelligenza critica di ogni cittadino che avverte la responsabilità dell’impegno civile per la sua città. Italia Nostra non si affida quindi a tecnici esperti e partecipa all’istruttoria nella persona di chi anche formalmente rappresenta il gruppo di cittadini modenesi che si riconoscono nell’associazione.
2. E’ facile constatare che lo stimolo a riprendere formalmente il filo della progettazione del Parco Ferrari (lasciato cadere per tanti anni) sia dato dall’innovativo maturato proposito di inserire in quell’ambito una funzione di attrezzatura sportiva, la piscina, che ha una giustificazione in sé come esigenza di uno specifico servizio e in linea generale non si concepisce in funzione di un parco urbano. Difficile contestare che sull’idea di piscina sia stato costruito il progetto direttore. La piscina ne è il motore. Si deve supporre che questo nuovo proposito sia stato fondato su verifiche di fattibilità, come generico apprezzamento di convenienza economica da parte di operatori privati ai quali attraverso il previsto procedimento di project financing rimarrebbe affidata la realizzazione dell’opera (dunque a costo zero per il Comune). E la ragione della scelta di quella specifica collocazione è facile cogliere nella condizione economicamente favorevole costituita dalla proprietà comunale dell’area di intervento, dunque disponibile senza oneri per il privato concessionario dell’impianto e della sua consecutiva gestione. La collocazione è perciò suggerita non già da una esigenza di attrezzatura del parco e interna alla sua autonoma progettazione, ma da quella opportunità. E’ una collocazione che a noi sembra espressione di una deteriore concezione dei parchi urbani come libere aree pubbliche di riserva, disponibili per soddisfare estemporanee esigenze, estranee e diverse . Come è avvenuto con il Peep realizzato in anni recenti per distacco dal Parco della Resistenza di una sua essenziale porzione (unica voce dissenziente Italia Nostra). E più di recente lo stesso Parco della Resistenza ha ceduto un’altra sua porzione, a sud, a una limitrofa polisportiva che l’ha annessa per un geloso ed esclusivo campo da golf (fermo il dissenso di Italia Nostra, Legambiente e WWF). Oggi tutti riconoscono il gravissimo errore di avere negli anni 50 del Novecento ceduto ad una struttura per il nuoto una porzione dei Giardini Pubblici, ora indicati nella toponomastica come lo storico parco ducale.
3. Già nel maggio dello scorso anno Italia Nostra motivò la eccezione urbanistica opposta all’insediamento entro il Parco Ferrari di un impianto natatorio, compreso tra le non lontane piscine comunali Dogali e il vicino analogo centro dei Vigili del Fuoco. Se è dimostrata la insufficiente dotazione a Modena di quello specifico servizio (ma ieri sera è stata autorevolmente messa in discussione), si deve allora perseguire un assetto equilibrato nel contesto urbano delle relative attrezzature e quindi provvedere a dotarne il quadrante sud della città, che ne è privo, dove il piano regolatore generale ha destinato vaste aree per attrezzature generali, ancora non utilizzate e che dunque attendono l’attuazione di quella saggia previsione urbanistica. La piscina messa nel Parco Ferrari aggraverebbe l’attuale squilibrio delle dotazioni. E se poi l’intervento si fonda sulla formula del project financing che assegna costruzione e gestione dell’impianto ad un operatore privato, ripagato delle spese (certamente rilevanti) della realizzazione dell’opera con gli utili di esercizio garantito nel tempo, si tratta di un’impresa operante con fine (legittimo) di lucro. Ma, secondo la disciplina del vigente RUE (regolamento urbanistico edilizio), nella zona elementare 1180, area 01, che corrisponde alla intera estensione del Parco Ferrari, per gli impianti di questo tipo (C/4, D/6, G/2) è ammessa (in terreni di appartenenza pubblica!) la sola destinazione C/4 e cioè quella per “esercizi sportivi appartenenti a soggetti operanti istituzionalmente senza fine di lucro”. E dunque nel Parco Ferrari non può starci una piscina gestita da privati imprenditori secondo pur legittime finalità di profitto.
4. Non si tratta soltanto della fisica sottrazione di una porzione del Parco per una destinazione che ben potrebbe trovare realizzazione altrove in zone appositamente deputate e attrezzate. Non è, cioè, mera menomazione quantitativa degli spazi che il piano regolatore assegna al parco, ma è interferenza negativa sulle sue stesse funzioni, innanzitutto per le esigenze di accesso e parcheggio di un’utenza non motivata dalle speciali attrattive del verde pubblico urbano di generale e libera fruizione. E se è vero che lo stabilimento sportivo occuperebbe una superficie circoscritta del parco, ben oltre si estenderebbe l’effetto disturbante di alone, anche come impatto visivo degli speciali e funzionali volumi e forme, mentre la prevista collocazione privilegiata sul fronte della Via Emilia all’angolo con il Viale Italia segnerebbe l’ingresso al Parco, ne costituirebbe l’insegna e infine l’improprio simbolo.
5. Già si è detto della concezione debole del verde urbano, come se per giustificarsi il verde pubblico dovesse inventarsi funzioni integrative e speciali attrattive, anche come attrezzature sportive e perfino di servizio in senso ampio culturale. Si stenta cioè a riconoscere nel verde pubblico un essenziale servizio in sé, autosufficiente e autonomo, non tributario, se così si può dire, di altre funzioni urbane. Il verde pubblico, insomma, oggetto di uno speciale, vero e proprio, diritto di cittadinanza. E allora il problema posto oggi dal Parco Ferrari, come non è quello di escogitare funzioni integrative, siano di attrezzature sportive o culturali (le ipotizzate sale di lettura e studio a servizio di una immaginata utenza di studenti universitari), neppure è quello di disegnare pretenziose architetture di giardini per speciale attrattiva anche in funzione di un improbabile richiamo turistico (l’impegnativo labirinto ripreso da altre suggestive installazioni, per armare, in quello specifico punto, la alternativa alla piscina), né infine è quello di aggiustare alla meglio il vecchio e francamente ormai esausto progetto di Jellicoe, con la resurrezione dell’ artificiale canale a memoria dei tanti che i modenesi hanno nell’ultimo sessantennio coperto (Mini – Naviglio, secondo la relazione al progetto direttore). Si pensi piuttosto ad integrare e rafforzare l’organismo vegetale, che è l’essenza stessa del parco, con l’impiego di specie autoctone (ha fondamento geobotanico, a noi pare di sì, il tentativo di creare un impianto modellato sui lacerti ancora superstiti in regione di bosco planiziale?). E si limitino gli interventi di architettura ai soli essenziali servizi anche di ristoro e resistendo alla tentazione di dar vita nelle pur necessarie radure ad apparati per spettacoli ad alto concorso di pubblico e di vasto richiamo anche da fuori, così costituita a ben vedere una impropria servitù passiva del parco usato come disponibile e indifferenziato spazio pubblico aperto di ampio contenimento (quando i più forti campi sportivi si sanno difendere da queste non innocue invasioni).
6. Un’osservazione conclusiva. La questione che ci occupa questa sera rimanda (ma non se ne è parlato) al complessivo sistema del verde pubblico urbano, dal quale il Parco Ferrari non può essere isolato neppure con l’enfasi di un ideale asse (ieri evocato con efficacia) che lo connetta funzionalmente a Duomo – Piazza Grande e perfino all’artificio del Museo – Casa Natale Ferrari. Crediamo piuttosto che il Parco Ferrari non possa essere considerato fuori dal rapporto solidale di integrazione con il sistema del verde nella città, che denuncia punti di sofferenza, come innanzitutto l’incompiuto e progenitore Parco della Resistenza, oggi insidiato da un progetto che destina a massiccia edificazione la sua zona di preparco, così ancora voluta dal vigente piano regolatore nel complesso dell’ex- stazione delle ferrovie provinciali.
Modena, 29 giugno 2011