Al Presidente del Comitato dei Garanti costituito a norma dell’art.5 del regolamento per la disciplina del referendum consultivo
Dottor Antonino Cavarra, Residenza Municipale di Modena
Signor Presidente,
abbiamo letto la lettera che Le ha indirizzato il Presidente del Comitato per Piazza Matteotti della nostra città e ci è venuta spontanea la domanda se un Organo di pubblici garanti fondato sulla specifica competenza tecnico – giuridica e sul prestigio professionale dei suoi componenti (magistrato, docente universitario, avvocato) possa prescindere dalla valutazione pregiudiziale della natura dell’opera sulla quale si apre la consultazione. Non sia cioè tenuto a verificare se la piazza di riconosciuto interesse storico per generale previsione di legge (art. 10 comma 4, lettera g, del codice dei beni culturali e del paesaggio) e per espresso accertamento amministrativo (2003) possa essere convertita nell’edificio di una autorimessa sotterranea, realizzata attraverso la integrale demolizione di quanto costituisce la sua stessa consistenza fisica di suolo e sottosuolo.
Si tratta all’evidenza di un’opera severamente vietata dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, che costituisce il reato di cui all’art. 170 dello stesso codice e il più grave delitto di cui all’art. 635 C.P.. E, lo diciamo con la franchezza che Ella vorrà apprezzare in associazioni come le nostre, crediamo sia dovere dei garanti costituiti a presidio della legalità segnalare pregiudizialmente alla amministrazione attiva che li ha investiti un profilo di così grave illegittimità.
Ebbene, può essere rimessa, ci domandiamo, alla valutazione di un rappresentativo campione di cittadini interpellato per pubblica consultazione un’opera che è vietata dalla legge di tutela dei beni culturali e che costituisce perfino un illecito penalmente sanzionato? Non è questione, noi crediamo, di libero apprezzamento discrezionale, ma di rigorosa univoca soluzione sul fondamento di una elementare istanza di legalità. Non si può chiedere ai cittadini se ritengano ammissibile la violazione della legge penale. Sul punto una corretta pubblica amministrazione non ha bisogno del conforto della opinione dei cittadini. L’opera illecita non si può fare e chi l’abbia nell’esercizio delle distinte e concorrenti funzioni approvata (sia amministratore comunale o soprintendente) è partecipe della fattispecie criminosa, come ha di recente affermato la Corte di Cassazione in un caso analogo (parcheggio sotto un monumentale parco pubblico a Genova), confermando il sequestro dei cantieri di quell’opera.
Si dice riqualificazione di Piazza Matteotti, ma nessuno può dubitare che la esigenza politica (noi diciamo malintesa) da cui muove l’amministrazione comunale, il vero motore della operazione, è la realizzazione in quello spazio pubblico di una autorimessa con posti – autovettura in prevalenza da concedere in uso ai residenti e appunto sul ricavato delle relative concessioni onerose si fonda la praticabilità economico – finanziaria della operazione, che sarà, si dice, a costo zero per l’amministrazione (secondo il modello della finanza di progetto). E nel bilancio dell’opera ci può stare perfino il progetto della archistar ticinese che ridisegna liberamente la piazza in superficie, liberamente per quanto è possibile, se giochiamo sul tetto di un garage. E che, interpellata in una pubblica assemblea, ha dichiarato di ignorare che la piazza cha andrà a demolire è riconosciuto bene culturale. Vincolata appunto per il modo in cui tra fine anni 30 e fine anni 40 del novecento si è venuta costituendo secondo il disegno di un apprezzato architetto romano tardo-razionalista, autore anche dell’edificio che delimita la piazza sul lato ovest. Il progetto sovverte quel disegno, rompe l’unità della piazza e anzi la articola su due livelli, sacrifica al sottostante garage tutto il rigoglioso impianto arboreo esistente, con la promessa di un giardinetto sopraelevato (per esigenze dell’autorimessa) sul fondo ed è facile immaginare quanto sarebbe gracile il verde impiantato sulla soletta cementizia di copertura dell’autosilo.
Un rilievo d’ordine generale. Il vincolo di tutela di un immobile lo considera nella sua inscindibile unità di suolo e di sottosuolo, non si ferma cioè alla contemplazione di superficie ma scende nel profondo fin dove giunge l’esercizio del diritto di proprietà fondiaria (art. 840 del codice civile). E questa considerazione assume un rilievo pregnante per le piazze della città di antica fondazione, costituite sugli strati sedimentati nella millenaria vicenda urbana e riconosciute di interesse culturale, per legge, in quanto tali, indipendentemente dagli specifici caratteri di quel singolo spazio urbano, che per Piazza Matteotti sono stati espressamente individuati nell’apposito accertamento amministrativo del 2003. Insomma la piazza degli insediamenti urbani storici fa tutt’uno con le sue compatte fondamenta, che affondano, così Piazza Matteotti, nella Mutina di epoca imperiale. E naturalmente l’interesse sta nella sequenza degli strati su cui quello spazio aperto pubblico si è venuto costituendo nella morfologia urbana e non sta tanto e non solo nella qualità dei documenti archeologici conservati e reperibili nel sottosuolo.
Già abbiamo richiamato la recente sentenza della Corte di Cassazione che di fronte al sorprendente disorientamento delle istituzioni della tutela disposte a patteggiare la conservazione dei beni culturali pubblici (come piazze e parchi) e così a subordinarla ad altri interessi apprezzati in sede politica, ha scolpito il principio che la prima istanza della tutela è la conservazione della consistenza fisica del bene culturale e l’unico intervento ammissibile che incida sulla sua integrità materiale è necessariamente in funzione di migliore conservazione e più piena fruizione, sicché costituisce illecito danneggiamento il sacrificio della integrità del bene per soddisfare esigenze di diversa natura, e siano pure di rilevanza pubblica (come il parcheggio automobilistico), che si oppongono all’interesse della tutela. E ha affermato il conseguente principio che a fronte di una simile rigorosa disciplina espressa negli articoli 20 e 29 del codice dei beni culturali, la autorizzazione amministrativa rilasciata in violazione di quelle vincolanti regole (il soprintendente non può consentire quel che è vietato dalla legge) non vale certo a scriminare gli illeciti comportamenti assentiti, ma “potrebbe essa stessa costituire elemento essenziale della fattispecie criminosa” (Corte Cass. n.42065 del 2011).
Italia Nostra, Legambiente e WWF si rivolgono quindi ai Garanti della legalità, perché vogliano valutare pregiudizialmente la liceità dell’opera che è condizione di ammissibilità del sondaggio di opinione, certamente precluso quando abbia ad oggetto un’opera vietata e penalmente sanzionata, perciò sottratta a discrezionali valutazioni di merito dei cittadini. E se direttamente procedessero a formulare i quesiti da sottoporre a consultazione, i Garanti certificherebbero obbiettivamente, con la loro competenza tecnico – giuridica e il loro prestigio professionale (in ragione dei quali il consiglio comunale li ha prescelti), la liceità di un’opera che integralmente distrugge un riconosciuto bene culturale per far posto a una banale autorimessa da project financing e che privatizza un bene di tutti a favore dei pochi privilegiati disponibili a sostenere l’onere economico della concessione in uso.
Certi che Ella avrà compreso lo spirito che induce le associazioni a valorizzare il ruolo dell’organo di garanzia che Ella presiede, necessariamente esteso (al di là della verifica di correttezza formale del procedimento) alla pregiudiziale valutazione di legalità sostanziale dell’opera posta in consultazione e quindi alla ammissibilità della stessa consultazione, Le porgiamo rispettosi saluti con l’espressione di viva stima e considerazione.
Italia Nostra, sezione di Modena, il presidente Giovanni Losavio
Legambiente, circolo di Modena, il presidente Alessandra Filippi
WWF , sezione di Modena, il presidente Sandra Poppi