Perché i musei civici – demanio culturale, beni comuni – non possono essere conferiti in privata fondazione.
Riferendo in consiglio comunale sulla “fondazione fotografia”, l’assessore ha annunciato che è allo studio lo sviluppo di quella stessa prospettiva per giungere alla costituzione di una “fondazione cultura” nella quale far confluire i musei civici (d’arte e archeologico) e la galleria civica.
Se le ragioni son quelle di eludere le limitazioni del così detto patto di stabilità, non valgono certo a giustificare il travolgimento di principi che crediamo fermissimi. Non superabili neppure nelle condizioni indotte dalle drastiche ma contingenti misure di contenimento finanziario e di spesa, alle quali non si deve perciò rispondere con così incisive trasformazioni istituzionali per loro natura permanenti. (E se la fondazione serve a raccogliere più libere risorse private, non si vede quale ostacolo si opponga all’attribuzione diretta di quelle risorse, se davvero disponibili e disinteressate, alla pubblica istituzione).
Le raccolte dei musei civici costituiscono il demanio culturale del Comune e questa speciale qualificazione della “proprietà” significa non soltanto che le funzioni esercitate attraverso i musei sono essenziali ed esclusive dell’ente di appartenenza, ma innanzitutto che i musei civici concorrono a definire la identità stessa del Comune come l’ente rappresentativo della comunità dei cittadini e sono perciò assolutamente indisponibili. Se i musei civici fossero conferiti in una privata fondazione il Comune ne risulterebbe menomato, privato cioè di un essenziale profilo di qualità.
Mai abbastanza è stata deprecata la concettualmente assurda scissione tra le funzioni di tutela e di valorizzazione, come è confermato dalla gestione dei musei civici che implica l’esercizio di compiti di tutela (pur concorrenti con quelli, primari, delle istituzioni dello stato) e son compiti che il Comune non può che esercitare in modo diretto e nella propria esclusiva responsabilità, dunque non delegabili ad una fondazione che, se pur partecipata a maggioranza da fiduciari comunali, opera secondo modelli privatistici. I musei son fatti non soltanto dalle (demaniali) raccolte di oggetti preziosi, ma insieme dalle competenze degli operatori che si sono formate e si tramandano nel costante rapporto di studio con quegli oggetti. Un geloso patrimonio di conoscenze critiche che non può essere conferito, neppure strumentalmente, in una diversa privata istituzione, perché è essenzialmente incompatibile con ogni forma di esternalizzazione (come si dice con un brutto neologismo che ben esprime la cosa).
Sono proposizioni generali, queste, che trovano una speciale evidenza nella storia dei musei civici modenesi, costituiti dall’orgoglio municipale in epoca immediatamente postunitaria come la istituzione comunitaria che assume la responsabilità di documentare il patrimonio storico e artistico della città (in una stagione anche allora di intenso e diffuso rinnovo edilizio) e di partecipare alla sua conservazione (l’istanza prima della tutela), alla promozione della conoscenza al riguardo, anche con interventi diretti attraverso le campagne di scavo che hanno dato fondamento con gli straordinari reperti alle raccolte del museo archeologico. E il museo archeologico fin dalla sua costituzione ha assunto il ruolo di diretto servizio alla salvaguardia dell’ambiente urbano e del territorio periurbano, ruolo in tempi recenti valorizzato con la formazione della carta archeologica e il suo aggiornamento, così da comporre “il quadro conoscitivo, riferimento necessario per l’attuazione del piano regolatore” (art.18 delle norme di piano) in funzione di tutela preventiva rispetto alle discusse possibili trasformazioni edilizie e urbane. Una irrinunciabile funzione istituzionale strettamente connessa alla gestione dell’urbanistica, ribelle perciò alla conversione a compito di una privata fondazione.
La privatizzazione dei musei civici (perché tale è il loro conferimento, come struttura operativa di raccolte e personale dedicato, in una fondazione costituita ad hoc) comporta insomma una essenziale alterazione della identità della storica istituzione che non potrebbe neppure passare alla doverosa verifica di ammissibilità degli organi della tutela statale.
Modena, 23 aprile 2012.
Italia Nostra, sezione di Modena.