Intervento del presidente della sezione modenese di Italia Nostra al Laboratorio promosso dal gruppo consiliare SEL del Comune di Modena il 13 marzo 2013 sugli “indirizzi” del PSC.
E’ in linea di metodo corretto – ci domandiamo – essersi lasciati superare dai tempi e, ormai a conclusione di questo mandato amministrativo (che si lega in continuità, per le dichiarate intenzioni programmatiche, al precedente, quello 2004 – 2009), mettere in movimento il procedimento di un nuovo piano strutturale che giungerà soltanto alla adozione prima della scadenza elettorale e alla vigilia del rinnovo della amministrazione? Un rinnovamento che si annuncia molto incisivo, non diciamo radicale, se non altro per la ineleggibilità dell’attuale sindaco. E’ un’anomalia il procedimento di elaborazione del PSC che non si conclude, secondo la previsione certa ed esplicitamente considerata negli “indirizzi”, entro il termine del mandato e che è perciò diretto a porre condizioni alla prossima amministrazione. Che sarà – sì – libera, ma con intuibile imbarazzo, perfino di non portare a termine il procedimento o di modificare anche sostanzialmente il disegno del piano. Una analoga vicenda è stata affrontata con disagio a Bologna alcuni anni or sono nel passaggio da una all’altra amministrazione. Insomma, una amministrazione in scadenza è legittimata a indirizzare a quella avvenire, che ovviamente costituisce un’incognita, la formalizzata proposta di piano? Ci pare una situazione obbiettiva, questa, che certo attenua se non vanifica l’interesse alla consultazione e alla partecipazione.
Non è solo la constatazione di un grave ritardo, perché si tratta invece di tempi formalmente scaduti. La precedente amministrazione (nella cui continuità politica ha inteso porsi l’attuale, stesso sindaco, stesso assessore) si insediò, lo ricordiamo, a pochi mesi dalla approvazione (dicembre 2003) del primo adeguamento del piano regolatore allora vigente alla legge regionale 20 del 2000, con il così detto “spacchettamento”, cioè con la disarticolazione dell’unitario piano nei tre distinti strumenti voluti dalla nuova legge urbanistica (PSC, POC, RUE). La Giunta Barbolini – Costi si era avvalsa, infatti, della facoltà di seguire il semplificato procedimento di primo adeguamento alla nuova legge urbanistica, previsto dall’art.43 della stessa legge per i comuni che avevano approvato il PRG dopo il primo gennaio 1997 e aveva considerato a questo fine le due varianti generali del 1997 e del 2000 del vigente piano regolatore modenese. E lo “spacchettamento” nei tre distinti strumenti fu approvato nei modi dettati dall’art.15 della legge regionale 47 del 1978 per le minori varianti urbanistiche. Ma l’attuale amministrazione, tenuta, per esplicito “obbligo” posto dalla disciplina attuativa della legge regionale, a completare il formale adeguamento dei tre distinti strumenti entro dieci anni dalla approvazione del PRG, ha totalmente ignorato questo ulteriore passaggio, si è cioè sottratta all’obbligo del definitivo adeguamento e ha lasciato scadere il termine decennale dal luglio 2000, dalla data cioè di approvazione della seconda variante generale al PRG. Un inadempimento che avrebbe potuto e ancora potrebbe indurre la Provincia a nominare un commissario ad acta. Non vogliamo neppure ipotizzare quale sia l’effetto di questa inosservata scadenza: decadenza insieme di PSC, POC e RUE e dunque l’intero territorio del comune di Modena privo di strumentazione urbanistica, una grande unica “zona bianca”? Si può in ogni caso dire che l’urbanistica a Modena versa in una condizione di grave illegittimità. Certo è che è decaduto il Piano Operativo Comunale le cui previsioni, per disposizione generale della legge regionale, operano nell’arco temporale di cinque anni e cessano di avere efficacia a quella scadenza e dunque a tutto concedere dal luglio 2010 il territorio del nostro comune è rimasto privo, caduto il POC, della disciplina di ogni intervento “di tutela e valorizzazione, di organizzazione e trasformazione” (art.30 della legge regionale) e pure le cruciali zone F ne sono risultate cancellate. Da quel momento (luglio 2010) il POC – decaduto – non poteva essere modificato e le varianti tuttavia adottate e ancora in corso, cioè non ancora approvate, non possono, crediamo, giungere a conclusione (e alcune di esse interessano proprio le Zone F). Si tratta quindi, lo ripetiamo, di un gravissimo inadempimento che rischia l’effetto del marasma urbanistico.
Perché, invece di mettere subito in cantiere, dal 2004, l’adeguamento degli strumenti formati nel dicembre 2003, si è progettato in grande la “Modena futura” avviata al traguardo dei 230.000 abitanti e nel documento dell’allora assessore, validato dal sindaco, si giudicava quindi insufficiente il vigente PSC, quello approvato appunto nel 2003, che si propone di far posto nel 2020 a 201.000 abitanti (e senza neppure impegnare le zone F). Muoviamo allora da questo dato: la disponibilità del vigente PSC (se è ancora vigente) offre una disponibilità che supera le più prudenti e contenute ipotesi di incremento demografico ragionate dal documento di indirizzi per una “Modena creativa e concreta” che misura le sue previsioni insediative al 2032 (vent’anni è la gittata del PSC) sotto la soglia dei 200.000 cittadini. E’ una previsione che crediamo in eccesso e attendiamo di verificarla alla lettura dell’annunciato “quadro conoscitivo”. Ma in ogni caso i compiti del nuovo piano sono il contenimento anzi la riduzione quantitativa delle previsioni dello strumento PSC del 2003 e la riconsiderazione qualitativa delle relative opzioni e localizzazioni.
Crediamo che nella situazione che abbiamo cercato fin qui di ricostruire sia difficile (o forse non ne siamo capaci) dire di più, per attendere gli ancora generici “indirizzi” alla rivelatrice prova degli annunciati “quadro conoscitivo” e “documento preliminare” che costituiscono, essi, il concreto avvio del procedimento di adozione e danno concreto fondamento a una non vacua consultazione – partecipazione.
Giovanni Losavio, per Italia Nostra.