Comprensibili l’imbarazzo e il disagio della soprintendente per i beni architettonici che ha autorizzato l’intervento di diffusa edificazione entro il modenese parco della rimembranza. Come la stampa aveva riferito, il tribunale del riesame, confermando il sequestro dei cantieri, ha infatti dovuto constatare che l’intervento è vietato, non solo dalla disciplina di piano regolatore, ma proprio dall’art. 20 del codice dei beni culturali (che istituzionalmente il soprintendente è tenuto a far osservare), perché destina il parco ad un uso di promozione commerciale incompatibile con il suo carattere storico e lesivo della stessa integrità fisica di organismo vegetale. E il danneggiamento al bene culturale – parco già è stato visibilmente provocato dalla attivazione dei cantieri (come hanno potuto constatare i cittadini modenesi e hanno confermato le indagini della polizia forestale) e solo il sequestro ne ha impedito l’aggravamento.
In recenti dichiarazioni alla stampa la soprintendente, nel proposito di dare fondamento normativo alla approvazione di una vasta edificazione del “parco”, contesta che esso rivesta lo speciale interesse “storico” (art. 10, comma 3, lettera d) codice beni culturali), a suo dire riconoscibile nel modello del parco della rimembranza, che ne avrebbe comportato la inedificabiltà. Come immobile di interesse storico-artistico (comma 4, lettera f) dello stesso articolo), il solo nominale parco della rimembranza invece, così casualmente dedicato a Modena a impianto ormai realizzato e altrimenti concepito, privo quindi di “un reale riferimento alla storia della nazione”, sarebbe suscettibile di edificazione e le previste costruzioni varrebbero a riqualificare l’intera area in stato di grave degrado.
Sono affermazioni, innanzitutto, in linea di verità storica smentite dalle ricerche di archivio sulle vicende urbane. La decisione della amministrazione comunale di realizzare un parco negli spazi che sarebbero risultati dall’abbattimento delle mura precede – è vero – la promozione governativa del modello del “parco della rimembranza”, ma la concreta progettazione e la conseguente attuazione si attennero a quel modello con la dedica di ciascuno dei quasi mille alberi di nuovo impianto a un caduto modenese della “grande guerra”. Mentre, inaugurato il 24 maggio 1923 con la diffusione della locandina che rappresenta la scolaresca impegnata nell’opera di messa a dimora delle piante, l’assetto del parco era predisposto ad accogliere nel culmine, là dove aveva dominato il baluardo di San Pietro, il già allora commissionato Monumento ai Caduti e alla Vittoria (inaugurato poi nel 1929).
Ma pure affermazioni del tutto prive di riscontro nella disciplina dettata dal codice dei beni culturali. La distinzione tra bene tutelato per il riferimento alle vicende della storia nazionale, e bene che presenta in sé l’interesse culturale meritevole di tutela, non rileva affatto quando si discuta di un concreto parco che, riconosciuto di interesse storico – artistico (come esplicitamente il parco modenese, con decreto 11 ottobre 2005 del direttore regionale per i beni culturali) per i modi e le occasioni in cui è stato realizzato e ancor oggi si presenta, è assoggettato alle prescrizioni rigorosamente conservative di manutenzione e restauro dettate dall’art. 29 dello stesso codice. E in un parco così tutelato non possono essere ammesse costruzioni concepite in funzione di promozione e riqualificazione commerciale del luogo, al quale si addice invece, se esso versi in stato di degrado (come rileva la soprintendente), un intervento di appropriato restauro. E tale certamente non è la diffusa edificazione secondo un piano di lottizzazione commerciale, con le relative opere di urbanizzazione, che la soprintendente ha autorizzato in contrasto con le finalità istituzionali di tutela, come gip e tribunale del riesame hanno severamente stigmatizzato.
Modena, 21 luglio 2014. Italia Nostra, sezione di Modena.