Quando Adolfo Venturi scrisse nel 1882 la Regia Galleria aveva in mente di delineare, sulla base inoppugnabile dei documenti d’archivio, la storia dei due nuclei del grande collezionismo estense, quello originario della vecchia capitale, Ferrara, e quello modenese, cui la vendita di Dresda al grande Elettore di Sassonia e re di Polonia Federico Augusto III aveva inferto il colpo di grazia nel 1747. Da allora la collezione aveva mutato pelle, perso pezzi ma al contempo acquisito altre opere, consegnata alla fine del XIX secolo al nuovo Regno d’Italia che la volle sistemare nell’ex Palazzo delle Arti, da allora Palazzo dei Musei. Due fattori emergono chiaramente dalle famose pagine venturiane, ribaditi da tutte le vicende critiche seguite fino ad oggi: delle mitiche raccolte di Alfonso I° custodite nel Castello Estense di Ferrara rimaneva ben poco, solo “resti” dopo l’emigrazione forzata dei grandi capolavori pittorici nei palazzi romani e da lì nei musei stranieri; Modena poteva contare comunque su di una serie di raccolte di valore altissimo non integre, ma nemmeno troppo sfaldate, saldate entro un unico patrimonio di marca nobiliare che riuniva in sé tutte le tipologie artistiche, dai manufatti ai libri. E proprio questi ultimi avevano finito per costituire il nucleo più numeroso e denso di opere con punte qualitative, prima e dopo l’avvento della stampa, di valore ineguagliabile. La sistemazione nell’ex Albergo Arti di tutte le raccolte, comprese quelle lapidarie ed archeologiche, fu saggia e coerente con il senso di quell’eredità consegnata unitariamente alla nuova Italia, e per essa alla comunità modenese, dopo secoli di permanenza nel Palazzo Ducale. Tale indirizzo rispecchiava il disegno di una panoramica unitaria della cultura artistica modenese secondo il criterio di un interesse critico, e di conseguenza di una tutela, non della singola opera, ma dei contesti unitari. Le nuove prospettive che si affacciano ora, dopo la legge Franceschini sui musei e soprattutto con la messa in campo del nuovo progetto di utilizzo dell’ex Ospedale Sant’Agostino, meritano una riflessione da parte di chi per anni ha ricoperto il ruolo di soprintendente al patrimonio artistico mobile di ascendenza estense di cui la Galleria costituisce il fulcro, oggi rinnovata a nuova vita dopo la drammatica fase seguita al terremoto del 2012. Proprio in forza dell’inscindibile unitarietà dei due nuclei storici, pur nella differente loro gestione legata alla diversificazione tipologica dei materiali- libri e opere d’arte mobili- il lavoro è stato impostato per più di un secolo in stretta sinergia per non spezzare legami o strappare trame tessute nel tempo, in sintonia tanto con i luoghi di origine quanto con i luoghi di conservazione del patrimonio di origine civica che già la politica postunitaria aveva voluto vicini fisicamente affinché tutto il patrimonio artistico della città beneficiasse di una tutela integrata, vicina e accessibile a tutta la comunità. Anche se non indolore, fra appassionato civismo e difesa nazionalista, alla fine tutte le raccolte, al di là dell’appartenenza giuridico-demaniale, e secondo la tesi di Venturi della complementarietà delle collezioni ( dunque della loro inscindibilità), erano confluite alla fine dell’Ottocento nel medesimo fabbricato divenuto da allora luogo identitario della storia della città.
Fu sulla base di questa visione, al momento della possibilità di detenere nuovi spazi offerta dall’imminente trasferimento dell’Ospedale adiacente a Baggiovara, che venne steso il progetto di ampliamento di tutti gli istituti culturali del Palazzo dei Musei per arricchirne le potenzialità espositive e migliorarne l’efficienza. Esso prevedeva lo slittamento orizzontale di tutti gli istituti, piano per piano, occupando gli spazi lasciati liberi all’interno del fabbricato confinante attraverso il solo abbattimento di muri divisori, un progetto affrontabile con operazioni agili e tempestive, economico e insieme funzionale, sottoscritto all’unanimità, che avrebbe per giunta ricomposto anche l’unità funzionale dell’intera fabbrica settecentesca sorta sull’antico arsenale ducale. Certo una volta realizzato, questo progetto non avrebbe portato nessuna nuova grandiosa visibilità agli istituti, ma ne avrebbe raddoppiato la capacità espositiva, agevolato l’efficienza e irrobustito il servizio pubblico senza rompere la loro unitarietà durata più di un secolo. Nessuna esaltazione o magniloquenza architettonica avrebbe contrassegnato i singoli istituti, nel frattempo restaurati e ben fruibili, al contrario del progetto di sistemazione dell’ex-Ospedale Sant’Agostino che, una volta liberato e divenuto proprietà della Fondazione della Cassa di Risparmio, è stato affidato all’ormai immancabile archistar per il contenimento e la valorizzazione ( molto si potrebbe dire su questa parola abusata e sul concetto stesso che esprime) di tutti i nuclei librari modenesi – nazionali, civici, universitari, Biblioteca Estense compresa -, riuniti a costituire un polo librario a due teste, l’una per il prestito e la pubblica lettura, l’altra per uso espositivo, leggi per grandi mostre di richiamo cui i capolavori miniati o a stampa della Estense dovrebbero costituire la materia prima. Sul progetto, accogliendo il ricorso presentato da Italia Nostra sul merito dello stesso e sull’ iter anomalo seguito, si è espresso in questi giorni il Tribunale amministrativo dell’Emilia-Romagna annullando il permesso comunale di costruire il nuovo polo librario nell’antico edificio del Sant’Agostino poiché in contrasto con la disciplina conservativa del piano regolatore, dichiarando nullo il parere positivo dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali nel 2013 in quanto organo incompetente in materia. Si ricomincerà quindi da capo nell’iter di approvazione, questa volta chiamando in causa la Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per la province di Bologna Modena e Reggio Emilia, ritenuta competente in materia, che dovrà di nuovo valutare tutto il sistema immaginato, il progetto di restauro e, non ultimo, la reale efficacia delle strutture logistiche di contenimento e conservazione dei materiali cartacei – le torri vetrate – , ritenute da molti già obsolete e inadatte al loro compito oltre che gravose sul piano della sostenibilità gestionale.
Sradicare la Biblioteca Estense dal contesto cui appartengono anche tutte le altre raccolte estensi superstiti, in primis la Galleria, è contrario ad ogni principio di tutela, né il suo “trasloco” nell’edificio dirimpettaio garantirà maggiori afflussi di pubblico se non nella dimensione meramente espositiva, quella che si vuole enfatizzare a discapito della interezza della raccolta. Solo il servizio bibliotecario universitario, tardivamente aggiunto, potrebbe confluire nel Sant’Agostino, senza intaccare i nuclei storici. I grandi capolavori, a cominciare dalla Bibbia di Borso (la sua visibilità peraltro è subordinata alla conservazione che non ne consente un uso costante e quotidiano), dai codici miniati quattro-cinquecenteschi alla grande cartografia, tutti dovrebbe andare a costituire il serbatoio cui attingere per grandi mostre di attrazione turistica a pagamento. Un istituto altamente specialistico come la Biblioteca Estense, che inevitabilmente per la rarità del suo patrimonio richiama solo un pubblico di utenti selezionato e specialistico, nel quale le caratteristiche museali e di ricerca si fondono in una unica identità, verrebbe a divaricarsi nelle sue funzioni senza aggiunta di valori, subendo uno stravolgimento in nome della ormai dilagante spettacolarizzazione del patrimonio artistico ritenuto di punta, e quindi più attrattivo. Si tratterebbe di un vero e proprio smontaggio della Biblioteca, a cominciare da quello fisico delle antiche scaffalature lignee di Pietro Termanini, della seconda metà del Settecento, riadattare nel nuovo progetto e riutilizzate in nuova scansione in un contesto assolutamente ibrido, in cui gli spazi interni originari non appaiono più leggibili, distorti e contraddetti da nuovi adattamenti che soverchiano l’intera architettura in un processo di riadattamento dell’intero edificio settecentesco giustamente definito da molti una vera e propria “decostruzione” per favorire una quantità di funzioni e di attività altrimenti disarticolate.
Non c’è nessuno spirito conservatore, né immobilismo nel contrastare il trasferimento della Biblioteca Estense nei termini e negli spazi che si vorranno ricavare nel nuovo Sant’Agostino. La sospensione dei lavori imposta dalla sentenza del TAR – non si è trattato di un vizio di forma, come qualcuno dice, ma di merito e di procedure – offre l’occasione di una riflessione per quanto concerne il patrimonio ex-estense da ritenere e preservare nella sua unitarietà, senza smembramenti di sorta, soprattutto oggi alla luce di un nuovo corso consegnato alla Galleria Estense dalla recente riforma Franceschini che ne fa un museo dotato di autonomia in stretta simbiosi con la Reggia di Sassuolo che salvammo con lungimiranza vent’anni fa dal triste destino di alienazione al privato, cui l’avrebbe condannata l’applicazione integrale della legge Andreatta sulle dismissioni del patrimonio immobiliare demaniale. Senza entrare nel merito delle drammatiche conseguenze che avrà lo scorporo dei musei dai territori di appartenenza, come ha previsto la recente legge Franceschini, per favorirne una decantata autonomia su modelli stranieri, essenzialmente anglosassoni ( materia per un altro articolo), il disegno della costituzione di un polo estense annunciato dal Ministro, in verità già delineato da chi scrive dagli inizi degli anni novanta del secolo appena trascorso proprio sulla base di una ricostituzione possibile del patrimonio storico del casato Este con formule progettuali e coinvolgimenti non solo territorialmente limitrofi, ma di ampiezza europea ( la mostra Sovrane Passioni del 1998 ne fu atto concreto), spinge nel senso di una riflessione ancora più ampia, meno provinciale, rispettosa della storia e per questo più aperta ad una valorizzazione autenticamente integrata di patrimoni che, proprio laddove fortunatamente consegnati congiunti, non vanno separati. Specularmente non è con la ipotizzata confluenza della Pinacoteca Nazionale di Ferrara con la Galleria Estense che si ripristina una ferita della storia. La Pinacoteca Nazionale di Ferrara, antica capitale del ducato, non conserva opere che provengano dalla raccolte ducali, solo la sua sede, il Palazzo dei Diamanti, rimanda alla lunga vicenda dei duchi e dei cardinali che ne fecero una dimora per ufficialità prima ancora che abitazione privata e deposito di raccolte chiuse in casse in attesa di essere trasportate a Modena, dopo l’esilio forzato di Cesare d’Este. Essa è espressione di un collezionismo civico radicato sui ritrovamenti e i recuperi urbani del tardo Ottocento e del Novecento, cui le acquisizioni più recenti e il deposito della raccolta di dipinti della Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara hanno cercato di porre integrazioni favorendo alcune ricomposizioni del gran tessuto dell’arte ferrarese di diverse epoche: estense, legatizia e collezionistica moderna alienate nei secoli. Preservarla e potenziarla è un nobile obiettivo, traendola dalla condizione di precarietà in cui oggi si trova, senza spostamento alcuno che ne tradisca l’assetto: basta una circuitazione virtuosa del suo patrimonio in connessione con luoghi e nuclei afferenti. La questione va meditata attentamente a cominciare dalla conservazione del pubblico godimento della raccolta della Fondazione della Cassa di Risparmio, oggi in pericolo di disgregazione.
Il Sant’Agostino, una volta correttamente restaurato e riadattato a nuove funzioni, può ben figurare quale polo culturale a vocazione libraria e museale e come sede qualificata per la promozione delle arti contemporanee. Portarvi la storica Biblioteca Estense offende invece i comuni principi di corretta tutela e valorizzazione senza favorirne la visibilità e l’efficienza, prestandosi invece ad un profitto eminentemente economicistico travestito sotto forma di esigenze divulgative a stretta marca espositiva. Il solo luogo che potrebbe contenere tutte le ex-raccolte ducali, a cominciare dai libri, in una unica soluzione alternativa all’attuale è il Palazzo Ducale, dove ebbero origine e stabilità, occupato dall’Accademia Militare che pure ha assunto compiti di servizio museale in connessione con la Galleria Estense per via del patrimonio pittorico ospitato e del riassetto dell’antico percorso di parte dei musei ducali. Modena è dotata di un circuito ‘estense’ virtuoso e di grande prestigio, già tracciato e solidificato nel tempo che non ha bisogno di disaggregazioni, solo di un intenso lavoro di promozione.
Jadranka Bentini
(già Soprintendente per i Beni Artistici e Storici di Modena e Reggio Emilia e Direttore della Pinacoteca Nazionale di Ferrara)
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