Contenimento del consumo di suolo e rigenerazione delle città gli obiettivi proclamati, ma traditi dal progetto di legge.
Il vantato limite del 3% posto all’ulteriore consumo di suolo, già in sé molto elevato, non computa l’effettiva ulteriore trasformazione di campagna coltivata in aree urbane, complessi industriali o grandi infrastrutture.
La riqualificazione – rigenerazione urbana è concepita come addensamento incontrollato, in quanto rimessa esclusivamente ad accordi operativi su progetti formati per iniziativa privata nella più assoluta arbitrarietà.
Pubblichiamo qui di seguito il documento approvato dal consiglio regionale di Italia Nostra sulla “Bozza del progetto di legge recante DISCIPLINA REGIONALE SULL’USO E TUTELA DEL TERRITORIO”:
Il contenimento del consumo di suolo e la rigenerazione delle città sono gli obiettivi proclamati per promuovere una nuova legge urbanistica regionale. Nel testo presentato due settimane fa entrambi gli obiettivi sono traditi.
Il vantato limite del 3% posto all’ulteriore consumo di suolo è già in sé molto elevato: le città di Ferrara, Modena, Parma, Ravenna, Reggio Emilia, ad esempio, si amplierebbero di circa due chilometri quadrati ciascuna, sufficienti ad accogliervi altri ventimila abitanti o diecimila posti di lavoro. Ma secondo la proposta di legge questo non basta: con tutte le eccezioni disposte nelle sue maglie, l’effettiva ulteriore trasformazione di campagna coltivata in aree urbane, complessi industriali o grandi infrastrutture, che non vi sono computate nel consumo di suolo, potrà facilmente raddoppiare o triplicare il già eccessivo contingente del 3% di suolo urbanizzabile.
La riqualificazione e rigenerazione urbana è concepita come addensamento incontrollato, in quanto rimessa esclusivamente ad accordi operativi su progetti formati per iniziativa privata nella più assoluta arbitrarietà. Questi accordi operativi con i privati divengono il solo modo di attuare trasformazioni intensive, ed ai comuni è sottratto ogni potere di disporne una disciplina urbanistica cogente. La proposta di legge addirittura vieta perentoriamente ai comuni di stabilire la capacità edificatoria e dettagliare i parametri urbanistici ed edilizi degli interventi ammissibili nelle aree urbane da riqualificare e rigenerare, e pertanto di valutarne sistematicamente la sostenibilità nel territorio urbano. E nel caso che qualche comune presuma di impartire indicazioni nel proprio piano urbanistico, la proposta di legge toglie loro qualsiasi valore, affannandosi a ripetere che ogni specifica indicazione e rappresentazione cartografica può essere liberamente modificata in sede di accordi operativi con i privati, senza che ciò costituisca variante al piano. Le stesse norme nazionali in materia di densità, altezze, distanze sono rese liberamente derogabili, e la dotazione di verde e servizi, che oggi per la residenza deve essere di almeno trenta metri quadrati per abitante, è azzerata; addirittura possono essere omessi i parcheggi pubblici.
Non bastasse, la proposta di legge esonera queste iniziative private dal contributo straordinario che per legge spetta ai comuni fino al cinquanta per cento della valorizzazione apportata dalla pianificazione urbanistica, da buona parte del contributo di costruzione, e promuove rilevanti aumenti dei volumi edificabili a titolo di incentivo alla riqualificazione urbana.
E su questi progetti presentati dai privati su loro esclusiva iniziativa e per il loro massimo interesse, è sottratto ai comuni ogni effettivo potere: è loro grottescamente consentito solamente verificarne la conformità a una pianificazione cui sono vietati contenuti e disposizioni cogenti, nel termine perentorio di sessanta giorni, poi stipulare l’accordo operativo. Quale effettiva riqualificazione urbana può mai risultare da interventi di addensamento incondizionato, privi di spazi e dotazioni pubbliche?
Nel resto del territorio urbano al posto di qualsiasi edificio privo di interesse culturale può esserne costruito uno nuovo, in deroga ai limiti di distanze, altezze, densità stabilite dalle disposizioni comunali e nazionali. Se neppure in caso di demolizione e nuova costruzione è d’obbligo l’adeguamento del tessuto edilizio consolidato ai più elementari criteri di riordino urbanistico, è preclusa ogni possibilità di un progressivo miglioramento anche delle parti più sofferenti. Sono soppresse le disposizioni cogenti sulla dotazione minima di attrezzature e spazi collettivi, che dagli attuali trenta metri quadrati per abitante può scendere a nove, e al caso anche annullarsi. Solo le trasformazioni minute sul patrimonio edilizio esistente rimangono soggette a una disciplina cogente, valida per famiglie e imprese che devono adeguare le proprie abitazioni e officine, non per le iniziative immobiliari speculative.
Alla tutela e riqualificazione dei centri storici e del patrimonio edilizio di interesse culturale non è dedicato neppure un articolo, ma solo qualche riga in quello che tratta del territorio urbanizzato.
Anche l’attuazione di nuovi insediamenti residenziali o produttivi è sottratta a una disciplina preventiva cogente, e alla possibilità stessa di una valutazione di sostenibilità, e rimessa interamente ai soliti accordi operativi avviati per iniziativa e su progetti dei privati proprietari. Viene meno in questo modo la effettiva possibilità, anzi il dovere, di impiegare oculatamente i residui futuri ampliamenti dei centri urbani per condurre a organico e qualificato compimento i margini delle città e le loro relazioni con il paesaggio agrario periurbano.
Scompaiono gli obblighi in materia di edilizia residenziale sociale disposti dalla legge regionale in vigore, che impone a tale scopo la cessione gratuita di un quinto delle nuove aree edificabili per residenza, e sulle altre destinazioni un robusto contributo finanziario.
In sintesi la proposta di legge sopprime la possibilità stessa di una disciplina urbanistica cogente sui nuovi insediamenti e sulle ristrutturazioni urbanistiche, privilegiando chi già è proprietario di aree periferiche e di complessi immobiliari da ristrutturare. I comuni, apparentemente svincolati dall’obbligo di pianificare le trasformazioni intensive del loro territorio, sono in realtà esautorati da ogni potere cogente e asserviti all’iniziativa e alle scelte incontrollabili dei più forti interessi privati immobiliari. Lungi dal semplificare le regole di governo del territorio, le innovazioni proposte forzerebbero un corpo estraneo nel sistema vigente dei piani territoriali e delle normative provinciali, regionali e nazionali, generando complicazioni e contraddizioni innumerevoli, destinate a ricadere in primo luogo sui comuni.
Il testo della proposta di legge è stato pubblicato il 3 novembre e presentato nel giro di una decina di giorni in assemblee provinciali circoscritte ad alcune decine di amministratori, e esponenti dell’imprenditoria e delle professioni. L’assessore ha dichiarato il suo intendimento di formalizzare la proposta di legge in giunta regionale entro dicembre, per presentarla all’Assemblea legislativa ai primi del nuovo anno. Si cerca in tal modo di far passare con un colpo di mano il totale sovvertimento delle politiche urbane e territoriali, carpendo la buona fede con gli slogan del risparmio di suolo e della rigenerazione urbana, entrambi falsi.
Bologna, 23 novembre 2016
*per completezza, alleghiamo la proposta regionale con le nostre annotazioni nella colonna a fianco del testo di legge, visionabile in questo pdf: