“Giù le mani dalle piazze storiche”: avevamo annunciato l’incontro di Italia Nostra a Bologna, lo scorso 23 maggio, alla sala del Risorgimento dei Musei civici. Il tema è di attualità anche a Modena dove sta per essere avviato ad esecuzione il progetto di così detta riqualificazione della Piazza Mazzini.
Riprendiamo l’appunto di Giovanni Losavio per l’incontro bolognese del 23 scorso:
Le piazze dei centri storici riconosciute beni culturali.
Italia Nostra propose e ottenne che la commissione ministeriale costituita per la redazione del codice dei beni culturali e del paesaggio (2004) inserisse nell’elenco indicativo di speciali tipi di bene culturale – il quarto comma dell’art.10 – una lettera g) dedicata a “le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse storico o artistico”. E se si considera che ogni Comune è tenuto (per legge urbanistica) a definire nel proprio piano regolatore la parte dell’insediamento urbano riconoscibile come centro storico, tutte le piazze dei centri storici (e l’intera trama degli spazi pubblici inedificati che disegnano la morfologia della città storica ) sono per ciò stesso beni culturali e quindi soggette, ciascuna con la propria identità di assetto formale e di specifica funzione, alla disciplina conservativa del codice. Una sia pure non esauriente tutela del centro storico che il codice si è ostinato a non considerare in sé come unitario bene culturale, essenziale elemento integrante del patrimonio culturale della nazione e forse quello che con più evidenza concorre a costruirne l’identità.
Certamente la più significativa innovazione del codice (2004, corretto e integrato nel 2006 e nel 2008) è l’aver normativamente previsto e disciplinato i modi di intervento sui beni culturali, modulando le misure di conservazione e così ponendo oggettivi limiti alla discrezione tecnica del soprintendente nell’esercizio della sua competenza di tutela. E’ l’articolo 29 che definisce i modi essenziali della cura dei beni culturali, prevedendo la modificazione del loro assetto fisico in funzione esclusiva di prevenzione, manutenzione e restauro. In particolare per manutenzione si intende l’attività finalizzata al controllo delle condizioni del bene culturale e al mantenimento dell’integrità, della efficienza funzionale e dell’identità del bene stesso; le stesse operazioni di restauro sono dirette alla integrità materiale e al recupero del bene, alla protezione e alla trasmissione dei suoi valori culturali (con implicito ma sicuro divieto di caricare il bene di nuovi valori nell’arbitrario proposito di modernizzarlo e assimilarlo ai modelli formali di oggi). Mentre sui modi dell’uso vale la severa misura di protezione dell’articolo 20 che fa divieto di adibire i beni culturali “ad usi incompatibili con il loro carattere storico e artistico oppure tale da recare pregiudizio alla loro conservazione”.
E’ questa dunque la tavola canonica, si potrebbe dire, che governa anche le piazze dei nostri centri storici e se ci troviamo qui a parlarne vuol dire che, da un lato, gli stessi uffici della tutela, le soprintendenze, stentano ancora a riconoscerlo e che, dall’altro, le nostre amministrazioni comunali oppongono al riguardo le male intese ragioni della autonomia municipale, per indulgere a interventi modernizzanti e convertire le piazze ai gusti mutevoli della attualità, facendone oggetto degli esercizi di stile di una architettura tentata di confrontarsi e competere con l’antico (eccitata da impropri concorsi, perché no internazionali).
Sembrerà mortificante per architetti inventivi e solerti uffici tecnici comunali dover riconoscere che nelle piazze dei centri storici le uniche trasformazioni ammissibili e che ben possono incidere sulla consistenza fisica del luogo sono quelle indispensabili per assicurarne l’efficienza funzionale che è compito di manutenzione (i sottoservizi, innanzitutto) e il recupero della identità del luogo se oscurata dai più recenti interventi incongrui e deturpanti, attraverso la rimozione di quelle che, con metafora ripresa dal lessico biologico, si sogliono definire superfetazioni. Regole semplici che pur riservano un margine non mortificante alla intelligenza del luogo e che consentono di ragionare per principi obbiettivi, contro l’arbitrio del gusto, dando sicuro fondamento all’esercizio del controllo critico.
E se procediamo con la esemplificazione dei casi che hanno impegnato e impegnano qui in Emilia la valutazione critica della nostra associazione, diremo innanzitutto che è inammissibile la conversione della piazza nel coperchio della sottostante pubblica autorimessa, la più radicale distruzione del luogo – bene culturale, soppresso non solo nella superficie di suolo ma pure nelle storiche fondazioni formate dai depositi della più che millenaria vicenda urbana (nella città di antica costituzione), quando è incontestabile che, come la proprietà, la tutela si estenda dal suolo al sottosuolo con tutto ciò che vi si contiene (art.840 cod. civ.). Sembra inimmaginabile che questo destino (sopravvissuto alla morta stagione dei parcheggi sotterranei nei centri urbani) consumato in anni recenti a Reggio Emilia nella Piazza della Vittoria tra i teatri Municipale e Ariosto, minacci ora la piazza Cittadella di Piacenza dominata, diceva la guida Touring, dalla grandiosa mole di Palazzo Farnese. Una distruzione che integra l’illecito penalmente sanzionato dall’art.170 del codice e implica la responsabilità personale di chi l’abbia autorizzata. E sono scavi spesso assecondati dalla archeologia istituzionale che con lo strumento della archeologia preventiva a spese del promotore dell’opera profitta dello scavo per soddisfare la sua curiosità e ne risulta una impropria bonifica (in funzione di ogni possibile impiego). Insomma le piazze debbono difendersi anche dalla curiosità degli archeologi spesso disposti a sacrificare duemila anni di storia nella ricerca del sottostante documento di storia antica, per metterlo semmai a vista attraverso un varco che interrompe la continuità di superficie (vedere quel che sono riusciti a fare nella mantovana Piazza Sordello, lo spazio esterno del Palazzo Ducale).
E poi la stolida intenzione di decoro e abbellimento con l’indebito uso dell’acqua a bagnare le asciutte piazze emiliane, e sono fontane a raso per getti e giochi d’acqua come nella reggiana Piazza dei Martiri (46 metri di fontana, la stessa misura della facciata del Teatro Municipale) e più modestamente nella modenese piazza Roma (l’avancorte di Palazzo Ducale) anche con un velo d’acqua che compromette la agibilità propria del luogo per evocare il tracciato del sottostante canale coperto da molti secoli. E ancora a Reggio Emilia vince oggi al concorso la invenzione di mettere dentro una vasca ovale marmorea lo storico obelisco di Piazza Gioberti, monumento austroestense convertito a celebrazione dei martiri del Risorgimento, ora come in origine protetto da una semplice funzionale recinzione tra fittoni (si dice che la vasca voglia anticipare l’effetto di quelle grandi e storiche della settecentesca delizia estense di Rivalta al termine del percorso oltre il Crostolo).
Bologna, 23 maggio 2018
Giovanni Losavio
Richiamiamo qui sotto la nota che Italia Nostra diffuse nel settembre 2016 quando il Sindaco presentò il progetto di riqualificazione della Piazza: