Ha ragione l’Imprenditore proprietario della ex Caserma Fanti. Non l’ha certo privatizzata lui e l’ha potuta legittimamante acquistare ai pubblici incanti, nei modi dunque di massima trasparenza. Non gli era invece consentito di procedere alla ristrutturazione dello storico edificio come ammette che si stia facendo, perché il codice dei beni culturali la vieta prescrivendo il rigoroso restauro (art.29) e il rispetto di queste regole era richiamato nello stesso rogito di acquisto. La disciplina di piano regolatore esige un restauro perfino scientifico: debbono essere rispettate come sono oggi tutte le facciate (finestre a terra) e non può essere alterata la originalissima organizzazione degli spazi interni di una caserma di primo Ottocento, la speciale tipologia, come si dice, di un fabbricato fortemente caratterizzato dalla funzione storica. Si intende aprire invece garage in serie anche sul fronte di Via Saragozza (grave il disagio per il traffico e per lo stesso passaggio pedonale, una gravosa servitù sulla strada pubblica del centro storico), sarà cancellata la organizzazione funzionale degli spazi interni, piegati a ricevere trentatre appartamenti, frantumata la unità del fabbricato nelle trentadue distinte proprietà in condominio. Definitivamente perduta la identità storica dell’edificio che il codice beni culturali vuole preservare con il restauro. Merito alla impresa privata se affronta l’impegnativo recupero di storiche strutture edilizie che, esaurita la funzione, sono a rischio di abbandono e degrado, ma non è recupero quando l’intervento stravolge i caratteri essenziali dell’edificio contro gli stessi vincolanti principi conservativi.
Ha ragione l’Imprenditore quando dice di aver ottenuto l’autorizzazione della Soprintendenza e che il Comune non ha inteso fermare i lavori avviati con una scia (basta una dichiarazione di inizio lavori, con allegato il progetto, presentata all’ufficio tecnico comunale che è tenuto a interromperli quando siano in contrasto con la disciplina edilizia). E’ tuttavia un abuso edilizio? Italia Nostra crede di sì. E specialmente grave, perché consumato su un raro monumento e perché assecondato dalle Istituzioni cui spetta di impedirlo. In uno stato di diritto che mette nella Costituzione la tutela del patrimonio storico e artistico, come principio fondamentale della Repubblica, non deve accadere. Italia Nostra, riconosciuta anche per legge associazione per la tutela del patrimonio storico e artistico, ha posto innanzitutto la questione alla responsabilità di Soprintendenza e Amministrazione comunale.