Mi sono chiesto perché le attuali generazioni nel loro desiderio di incontrarsi e di festeggiare con la potenza e l’energia che è propria dell’età giovanile, adesso, come si legge nelle cronache, provoca problemi gravi come il danneggiamento del patrimonio e della salute di molti cittadini, il disturbo della quiete pubblica in tutte le città e paesi italiani in particolare nei centri storici; che la politica non riesce ad arginare fino a rendersi necessario l’intervento suppletivo della magistratura?
Le risposte che mi sono dato sono due sapendo che non possono essere esaustive né le uniche, consapevole del pericolo che si corre generalizzando, si concentrano sulle conseguenze storiche di:
1. la televisione, la pubblicità e il mancato senso del limite
2. le periferie disadorne e i non luogo.
Che la televisione avesse un ruolo importante nello sviluppo cognitivo di un bambino lo riteneva anche il filosofo K. Popper che si augurava fosse necessario una sorta di patentino per chi creava programmi televisivi. E Popper era tutt’altro che un censore o avverso al libero mercato, così è ancora interessante ascoltare le opinioni di Gaber sulla televisione. La televisione per genitori stanchi dal lavoro o poco responsabili dei loro compiti di educatori ha svolto il ruolo di baby Sitter. Molti bambini che ora sono ragazzi con più di vent’anni, le attuali generazioni di giovani hanno passato ore e ore davanti alla televisione. Sul modello americano, dagli anni 80 in poi, si impose anche in Italia, la televisione commerciale. Centinaia di spot pubblicitari si inseriscono in un film o in un programma televisivo e in pratica lo finanziano. L’introduzione del sistema Auditel che misura quanti stanno vedendo un determinato programma induce ovviamente l’inserzionista pubblicitario a scegliere il programma più visto.
Quasi sempre questo percorso, questa richiesta di spettatori ne abbassa la qualità.
Mentre negli Stati Uniti le televisioni sono tutte private con diverse proprietà e diversi indirizzi nel formulare palinsesti televisivi, in Italia la televisione commerciale privata ha avuto un solo proprietario che ha agito in regime di monopolio e ha costretto l’unico concorrente, la Rai pubblica, ad uniformarsi quando è diventato grazie anche al potere comunicativo della televisione, Presidente del consiglio. La concorrenza aumenta la diversificazione dell’offerta e la qualità, la sua assenza l’abbassa. Uno spot pubblicitario è composto da una musica accattivante che cattura l’attenzione, in particolare dei bambini, ad alto volume (tutta la pubblicità è a volumi più alti rispetto al programma sottostante) più una storia che ha lo scopo di convincere il consumatore ad acquistare ciò che si reclamizza. L’economista americano J. Galbraith riteneva che essendo il mercato determinato dai consumatori se questi sono condizionati dalla pubblicità nelle scelte il mercato non è libero. Noi riteniamo che la percentuale di costo della pubblicità interna al prezzo del prodotto che il consumatore paga all’acquisto possa essere fonte di predominanza di mercato.
Consiglio per pluralità di opinioni, il libro di idee opposte a queste, da poco uscito ‘Uno spot ci salverà’ edizioni Piemme di Malgara fondatore di Auditel e un tempo proprietario di varie aziende tra cui la modenese Gruppo Fini. Ma ritorniamo alla struttura dello spot. Non contiene mai elementi negativi, problematici, non compare alcun dubbio, in particolare in Italia dove la pubblicità comparativa è vietata.
Nella ‘storiella’ ci sono solo elementi positivi, trionfa il buono, il bello, l’emozionante. Si pensi alla famigerata famiglia del mulino bianco tutta sorrisi e abbracci rispetto alle nostre reali e traballanti famiglie o alle pubblicità imperanti per miliardi spesi, di automobili che sfrecciano immacolate in magnifiche strade solitarie, senza traffico o ingorghi per arrivare in città del futuro pulite e accoglienti. Nel linguaggio della pubblicità tutti i desideri possono essere esauditi, tutto è possibile. Ci sembra plausibile ritenere che le ore e ore passate davanti alla televisione da bambini venga reiterato una volta ragazzi con l’essere sempre collegati con le loro cuffie perfino pericolose e la ricerca di musica ad alto volume in tutti i luoghi che frequentano, come se avessero sempre la televisione accesa. Ne fa in loro le spese, il Silenzio, così importante e necessario per la riflessione, l’introspezione e la comprensione della realtà.
Le liti condominiali sono il 20% delle cause civili un numero enorme. Per secoli le città si sono sviluppate partendo da un centro, dove si fronteggiano il tempio e il palazzo del governo civile, come il cerchio prodotto da un sasso gettato nell’acqua.
La bellezza delle facciate e il portale d’ingresso dei palazzi e delle case ne definivano lo stile la qualità e l’importanza. Le magnifiche piazze ornamentali erano luoghi d’incontro, di scambio, di mercato, di comizi, in certi momenti di assalto al potere. La bellezza e l’eleganza erano valori ricercati tanto che nel 1400 Siena li mise nel regolamento edilizio comunale.
Dalla fine degli anni sessanta la speculazione (si pensi al capolavoro di Rosi ‘mani sulla città’) sostenuta dalla collocazione del risparmio derivato dal boom economico e dalla ‘ripulitura’ del denaro prodotto dall’economia sommersa e malavitosa ha segnato la fine di questo secolare modello virtuoso. Sono stati costruiti quartieri disaggregati, con palazzi di mediocre fattura alzati in fretta, con scheletrati di cemento armato, tamponate le pareti come fossero tende. Non vi sono insonorizzazione e privacy, spazi comuni come le logge d’ingresso, né servizio di portineria. Tutto sacrificato per avere il maggior numero di vani e metri quadri da vendere. Con questa logica si è ridotto sempre più il rapporto verde-costruito, le poche piazze di quartiere sono diventate parcheggi condominiali sempre più fonte di litigi per la scarsità di posti auto. Negli ultimi decenni questi criteri edificatori sono addirittura peggiorati poiché i nuovi quartieri sono sorti attorno e per compensare la licenza a un grande centro commerciale. Sono stati definiti dall’antropologo francese M.Augè ‘non luoghi’. L’architetto Piano raccomanda giustamente di ‘rammendare’ queste periferie attività ben diversa dal favorire la movida come strumento per recuperare i centri storici come vanno dicendo e facendo assessori e sindaci insipienti. Da queste disadorne periferie provengono i giovani che desiderano passare una divertente serata in una bella piazza, seduti a cenare sotto un portico magari con pavimento alla veneziana o davanti al sagrato di una chiesa rinascimentale. Per quale motivo questi ragazzi non comprendono anche la necessità di conservarli di proteggerli come beni comuni di preservare la loro bellezza. Sono i non luoghi, gli spazi in cui sono cresciuti e costruito la formazione educativa, che possono spiegare il loro disinteresse, le urla, i bonghi, le bottiglie e i bicchieri abbandonati per terra il piscio e a volte il vomito che lasciano dopo una serata trascorsa in centro storico.
Dante Pini