Negli ultimi anni del Novecento coi risparmi del lavoro e un mutuo bancario comprai una casa nel centro storico di Spilamberto. Era fatiscente, inabitata da anni, ma documentata in archivio presente fin dalla seconda metà del Seicento. La fatiscenza e nonostante ciò la proprietà non concedesse sconti, mi avevano posto molti dubbi sull’acquisto.
Mi venne in soccorso il caro amico Gianni Rizzi, a cui si devono i pochi segni degni di nota di architettura contemporanea a Spilamberto e a cui affidare i lavori di progettazione, di recupero e restauro della casa. La sua tesi era che il senso del limite imposto in questo caso dai vincoli e dagli spazi era un valore positivo poiché incentivava le idee e la creatività. Da parte mia mi faceva sentire socialmente meritevole risanare un edificio vicino a dove avevo giocato da bambino senza consumare nemmeno un metro di nuovo territorio.
Mi era parso poi nel corso di viaggi di vedere come alcuni quartieri, ad esempio Soho a New York o Palermo a Buenos Aires, fossero rinati dal degrado in virtù dell’arrivo ad abitarvi di giovani e giovani famiglie con il loro lavoro sia di antico artigianato sia di innovazione commerciale e tecnologica. Insomma è opinione diffusa che la tutela e la conservazione dei centri storici dipenda in larga misura dalla qualità di chi li abita. Dobbiamo anche sottolineare che il degrado dei centri storici è dovuto dal loro svuotamento a causa della speculazione edilizia che ha cementato l’Italia più di tutte le altre nazioni europee e che è responsabile in gran parte dei disastri e delle vittime del dissesto idrogeologico. Anche le amministrazioni che si sono succedute a Spilamberto hanno responsabilità facendo come tutti, fino al 2018, quadrare i bilanci utilizzando gli oneri di urbanizzazione per finanziare la spesa corrente e non per la loro necessaria funzione.
Abbiamo sperato che i giovani componenti dell’amministrazione Costantini portassero idee nuove in virtù dei proclami elettorali e le loro citazioni, a questo punto improprie, di Renzo Piano che non ha fatto parcheggi per il suo grattacielo edificato a Londra perché la mobilità in centro non può farsi con le auto. Il centro storico di Spilamberto è attualmente un immenso parcheggio con doppie file, permessi concessi a iosa e continui abusi fuori controllo. Questa amministrazione poi senza nessun studio o conoscenza dei nuclei abitativi ritiene contro ogni evidenza che il centro storico si valorizzi favorendo la movida. Con uno sguardo elettorale, visto il dibattito nazionale sul tema, la Regione e il Comune si è subito accodato ha addirittura patrocinato un rave party nel parco della Rocca fino alle due e mezza e fino alla California e al Magazzino non hanno dormito, non paghi, hanno ripetuto il giovedì della fiera lo stesso tenore di musica.
Non sono episodi sporadici ormai tutti i giorni, con intensificazione nei fine settimana, bar e i ristoranti del centro, fanno musica all’aperto come fossero discoteche. Le conseguenze sono disastrose. Non è più possibile leggere, studiare, conversare, dormire e ascoltare la musica che ci piace ma solo questo infantile bum bum, come un bambino che batte il cucchiaio sul piatto, sparato ad altissimo volume. Basterebbe chiedere a una agenzia immobiliare quanto si svaluta e quanto poco sia vendibile un appartamento sottoposto a simili condizioni. Nel 2019 è stata presentata da più di cento cittadini una petizione che già segnalava il disagio sopportato da chi abita in centro. Siamo stati ricevuti con molto ritardo rispetto ai tempi prescritti dagli istituti di partecipazione e in quattro anni nessuna delle nostre proposte che pure erano a costo zero è stata presa in considerazione.
Anche questo sarà elemento probatorio che porteremo in dibattimento se gli amministratori di Spilamberto continueranno a considerare il centro storico una sorta di luna park da riempire di feste e a non darci ascolto, viste le recenti sentenze di Torino e Brescia che condannano le amministrazioni a rifondere i residenti perché ritenute responsabili del degrado e dei danni alla salute arrecati.
Dante Pini
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