Appunto di Italia Nostra sui compiti che, a giudizio della associazione, oggi attendono la Galleria Estense.

Attratta la Pinacoteca Nazionale di Palazzo dei Diamanti nel pertinente Polo Museale Ferrarese, ritorni ad essere anche nella denominazione ufficiale la singolare Galleria Estense, un falso storico dicemmo quella declinazione al plurale. E con la nuova disponibilità di spazi nella porzione retrostante al palazzo dei musei, che consente di trasferire lì da Palazzo Coccapani depositi, biblioteca e servizi, potrà finalmente tornare ad essere non solo l’insigne raccolta di dipinti, la esposta fino ad oggi pinacoteca, ma la galleria delle molteplici raccolte che riflette la straordinaria versatilità di interessi collezionistici e di cultura della longeva dinastia tra le più antiche d’Europa. Dopo oltre 150 anni realizzate oggi – momento cruciale – le condizioni del risarcimento dovuto alla integralità della galleria palatina acquisita dallo stato preunitario. Ben presente alla responsabilità di direzione il carattere poliedrico della galleria, la limitata disponibilità degli spazi ha fino ad oggi costretto a privilegiare la quadreria e ad esporre, anche in apposite vetrine, soltanto taluni esemplari di richiamo alle diverse e omogenee raccolte, bronzetti, ceramiche, placchette, gemme incise, fondo numismatico – medagliere/monetiere – e archeologico, punzoni da conio e, ancora, strumenti musicali, fondo grafico con disegni e matrici di xilografia, tesori tutti ignoti al pubblico. Si ricorda lo straordinario interesse che suscitò ad Aosta nell’estate del 2010 la mostra ospitata nel Museo archeologico regionale di una suggestiva selezione di questi fondi, privilegiate le gemme, curata dal direttore della Galleria, non fu portata a Modena dove neppure ebbe alcuna eco. L’allestimento espositivo, nei nuovi spazi assegnati, delle raccolte fino ad oggi oscurate è operazione ben si intende di grande complessità sotto molteplici aspetti, che impegna tempi non brevi di attuazione dalla preliminare ricognizione e dal riordino di ogni fondo, economicamente onerosa in sé (poi a regime per l’estensione dei servizi di custodia), supera i limiti della ordinaria amministrazione e quindi esige misure straordinarie di finanziamento.

Non più in discussione, quindi realisticamente irreversibile, la conversione di Palazzo Ducale ad Accademia militare, sembra indispensabile tuttavia coltivare nei modi più appropriati il rapporto della Galleria con il monumentale ambiente di origine, oggi accessibile dal pubblico soltanto con le visite guidate che fanno capo alla organizzazione comunale (Modenatur), secondo un percorso che valorizza soprattutto la presenza militare (e che esclude perfino la galleria sacra dello Stringa). La Galleria attualmente cura le visite delle scuole, mentre sembra doveroso che ad essa, cui appartengono tutti i dipinti ancora presenti nelle sale del palazzo (a titolo formale di deposito), sia riconosciuto un più ampio e incisivo ruolo, come la organizzazione a propria cura di un percorso di visita per il pubblico con accesso all’appartamento di rappresentanza, alle quattro camere da parata (ora museo storico), alla galleria sacra, approccio alle radici delle due raccolte estensi, la irrinunciabile fruizione culturale di un ambiente monumentale di straordinaria qualità, che non può essere negata ai cittadini, ai modenesi in specie, compatibile sicuramente, ovvie le cautele di sicurezza, con la destinazione di accademia militare.

Si ricorderà che nel 2013 fu fatta rivivere virtualmente la quadreria di Francesco I d’Este, operazione possibile perché ad integrare l’attuale assetto delle sale, presenti ancora i dipinti in pareti e soffitti, ci stanno quelli in Galleria Estense e in Gemaldegalerie di Dresda. La ricostruzione virtuale delle quattro camere da parata, attuata su iniziativa della soprintendenza (finanziata da ministero e cassa di risparmio), rimase pochi mesi in rete all’indirizzo quadreriafrancescoI.galleriaestense.org, per poi scomparire. La ricostruzione era voluta per essere oggetto di assidui aggiornamenti e di un utile scambio tra studiosi specie in relazione alle opere disperse. Perché non ripristinare la navigazione con il richiamo alle schede scientifiche e agli inventari correlati, che fa rivivere l’emozione di una visita virtuale in tre dimensioni? Potrebbe forse trovar spazio in apposito schermo all’interno della stessa Galleria, perché l’assetto di una delle più celebrate e frequentate quadrerie d’Europa lasci questa traccia almeno nella memoria della città.

Il consolidato fluido percorso espositivo della pinacoteca incontra una arbitraria interruzione nel luogo della saletta che dalla prima sistemazione venturiana era dedicata a Nicolò dell’Abate con le scene dell’Eneide, distacco tardosettecentesco dalla Rocca di Scandiano, nucleo caratterizzante della raccolta con i distacchi dalle beccherie, e documento tipico dei risarcimenti concepiti dopo la vendita all’Elettore di Sassonia. All’inizio del concluso mandato la saletta fu dapprima utilizzata per lo strumentario della didattica (compito essenziale, certo, di valorizzazione delle raccolte) in stridente contrasto con l’omogeneo assetto stilistico delle sale di esposizione, più di recente per la intrusione di estemporanee piccole mostre, del tutto estravagante, ma a la page, l’ultima, dedicata al femminicidio di una giovane ricamatrice modenese di primo Ottocento (priva di alcun riscontro su documenti figurativi). Mentre sembra francamente incontestabile l’obbligo di ripristinare con Nicolò la continuità e l’integrità del percorso espositivo, quando la disponibilità di nuovi spazi potrà corrispondere appieno alle esigenze di mostre estemporanee e all’esercizio della didattica, svolta per altro efficacemente nel corso del concluso mandato.

E’ un lavoro di massimo impegno, richiede tempo e dedicate energie, non ripagato da pubblici riconoscimenti e non immediatamente funzionale alla promozione della capacità attrattiva della Galleria, ma è un compito ineludibile, primo rispetto ad ogni altro, la formazione del catalogo generale scientifico, l’ultimo che possa dirsi tale risale al 1942, soprintendente Pallucchini (pubblicato nel 1945), e il patrimonio da allora ha subito movimentazioni, massime in tempo di guerra, poi tra restauri e prestiti, indispensabile la ricognizione analitica di consistenza delle plurime raccolte, da condurre su archivio e su riscontri inventariali, necessaria anche la verifica sulle opere disperse, concesse ad arredo della sede di pubbliche istituzioni, non solo locali (la prefettura), nazionali (la camera dei deputati) e perfino all’estero (ambasciate di Bruxelles e Ancara, se ricordiamo bene). E’ attivo specie negli ultimi anni all’Estense il cantiere del catalogo che opera con sicurezza di metodo, cui encomiabile si dedica l’unico funzionario storico dell’arte e per quanto è dato conoscere dalla pubblicazione nel sito istituzionale le schede redatte ad oggi riguardano i dipinti esposti, poco più di una decina quelle delle opere in deposito, dunque si pone l’esigenza di intensificare l’impegno, ultima la nostra tra le pinacoteche nazionali di Bologna (cinque tomi, nel 2013 licenziato l’ultimo), Ferrara e la Galleria della Pilotta, fuori regione Brera, che tutte quindi dispongono dell’aggiornata conoscenza critica, per quantità e qualità, del proprio patrimonio, sulla quale misurare i progetti di gestione, ricerca, promozione. E la necessità di guadagnare quel passo è motivo difficilmente contestabile e convincente per rivendicare dal Ministero la integrazione del personale come funzionari storici dell’arte, imprescindibile per adempiere al primario compito dell’Istituto. Mentre la Galleria non può non giovarsi, e non solo in funzione del catalogo, delle competenze della (più prossima) Università di Modena, dipartimento di studi linguistici e culturali.

La nuova responsabilità che il Ministero affida alla Galleria Estense con gli accordi recentemente raggiunti sul futuro dell’insediamento conventuale dei Benedettini (che hanno esaurito il loro ruolo nella città) comporta innanzitutto l’onere di guidare l’originale progetto capace di mantenere in vita la identità dello speciale luogo, definita da oltre cinque secoli di operosa, ma pure a tratti contrastata e interrotta, vita monastica. Spazi meritoriamente sottratti alla minaccia di valorizzazione commerciale, non possono essere altrimenti intesi come contenitori di funzioni genericamente culturali, né ovviamente disponibili a soddisfare ipotetiche esigenze delle raccolte della Galleria, la cui fisiologica espansione attende di essere esaurientemente attuata nei contigui disponibili vani dell’ex Ospedale Estense. Un progetto dunque ispirato alla conoscenza del luogo (lì il forno dell’officina Begarelli) e alla sua storia che ancora vive nel persistente impiego liturgico della Basilica di San Pietro, un fondamento sicuro al riguardo offrono le recenti ricerche e gli studi di umanesimo benedettino, imprescindibile il contributo di chi ad essi si è dedicato (innanzitutto Vincenzo Vandelli e Sonia Cavicchioli).

Sono note le ragioni che Italia Nostra oppose alla riforma nella organizzazione dell’assetto istituzionale periferico della tutela (2014), con l’accorpamento in unico ufficio delle competenze per materia (archeologia, architettura e paesaggio, beni mobili di interesse storico e artistico), musei e gallerie sciolti dallo storico legame funzionale con la soprintendenza di riferimento (era nata come soprintendenza alle gallerie, nelle raccolte pubbliche si costituirono le soprintendenze), dotati di autonomia tecnico-scientifica, speciale l’autonomia di quelli selezionati per importanza, uffici di livello dirigenziale, come appunto la nostra Galleria. Reciso dicemmo il legame solidale con il contesto territoriale di riferimento, il patrimonio diffuso, l’area culturale di cui il museo è espressione. Questo rapporto di reciproca proiezione museo – territorio può dirsi di speciale evidenza per la Galleria Estense, le raccolte della dinastia che presidia il proprio territorio non solo con la innervatura delle delizie (e per risarcire l’amputazione di Dresda non ha esitato ad attingere alle chiese, e non soltanto, del ducato). Insomma la Galleria che non si chiude nel recinto museale, al rapporto con il territorio storico di riferimento rivolge il proprio interesse perché, quel rapporto, è un profilo essenziale che concorre a qualificarla e ben può essere espresso anche attraverso attraenti manifestazioni espositive.

Modena, marzo 2024.

Italia Nostra, sezione di Modena.

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