Discutiamo il restauro (ancora in corso) del Duomo di Modena
Il turista che ricordasse una visita di dieci, quindici, venti anni fa al Duomo stenterebbe a riconoscere il monumento dopo la radicale ripulitura attuale. Sembra quasi che si sia proceduto senza avere fatto in precedenza un piano, pulendo ovunque in maniera omogenea, anziché tener conto della presenza di zone sane accanto ad altre ingiallite o abrase. Una levigatura energica ovunque ha riportato le singole pietre ad una fortissima reciproca disomogeneità, certo implicita vista l’eterogeneità delle pietre stesse in uso, ma non per questo mai in passato fatta realmente risaltare. Il monumento mostra ora una facies innaturale che i costruttori ed i restauratori antichi e moderni facevano invece di tutto per non sottolineare. Eliminata ogni traccia della fine rifinitura che armonizzava le superfici murarie, ci troviamo di fronte a un patchwork lapideo più adatto ad uno shopping center neoromanico che ad una autentica cattedrale di armoniosa architettura. Il restauro non sembra aver apportato nessuna seppur lieve e protettiva patinatura, né alcuna tonalizzazione pare essere stata attuata e si evidenziano così, nel progetto manutentivo, la mera esigenza di pulitura ( pesante e quindi anche rischiosa in termini conservativi) e la mancanza di una seria riflessione sull’organico risultato della visione d’insieme del tempio. Non sembrano esserci “velature” con prodotti naturali, che si sono sempre fatte in antico e per molti secoli con strati sottili, deperibili in sé, ma protettivi, seppur da rinnovare nell’ambito di una prassi di attenta manutenzione programmata. L’effetto della mano pesante si nota anche sull’apparato scultoreo: i risultati sono particolarmente visibili nei capitelli in via Lanfranco, che furono i primi ad essere scoperti e ove il bianco della pietra è abbacinante, di esagerato cangiantismo. Qui si ha addirittura l’impressione di trovarsi di fronte ad un calco, ad una poco leggibile replica in sostituzione dei capitelli originali.
Discorso a parte merita poi il tema, ora attuale , delle anomale coloriture che si stanno evidenziando sulle varie pietre prevalentemente su base giallastra, aranciata ( ma persino rosso scuro o verdino) e che stanno interessando progressivamente specie la facciata del Duomo, problematica questa che va ad aggravare una resa estetica/cromatica finale del restauro Mai, infatti, anche a seguito dei precedenti restauri della cattedrale, si erano evidenziate in maniera così spettacolare patologie come quelle attuali. Fra l’altro ora, in brevissimo tempo, si sta palesando, in molte parti, un ingiallimento a chiazze di varie pietre della facciata, comprese le parti scultoree.
Intervenire con un restauro sulle parti esterne di un capolavoro quale il Duomo di Modena è “l’operazione” più delicata che possa immaginarsi in terra emiliana e richiede una attentissima analisi e un progetto che preveda come trattare le diverse zone a seconda della necessità, individuando dove non toccare per non togliere la cosiddetta pelle e ridurre a pietra viva e dove invece potere intervenire al fine di trovare un livello di omogeneità: una sensibilità che fino a qualche anno fa, a Modena, qualcuno possedeva ancora. A questo punto, visto il risultato e soprattutto in relazione al prosieguo dei lavori ancora da compiersi su absidi e fianchi, Italia Nostra si interroga su quale tipo di esperienza debbano avere le maestranze scelte, su quali indicazioni debbano venire fornite loro, su quali vincoli e controlli debbano essere approntati. Perché non sembri che una copia (malfatta) del Duomo ne abbia preso il posto.