Con una SCIA (segnalazione certificata di inizio attività, perverso istituto per la semplificazione nella attività edilizia, che non tollera il ritardo del permesso di costruire) sono iniziati a Modena i lavori per la trasformazione della Caserma Fanti nel condominio di 32 appartamenti di lusso.
Si tratta dell’edificio neoclassico che in epoca di Restaurazione gli Este, reintegrati come Austroestensi, fondarono in area appartenuta al monastero benedettino, per insediarvi (1822) lo Stabilimento dei Pionieri, l’istituto militarmente ordinato come scuola delle molteplici arti, con il Convitto dei Cadetti Matematici per l’abilitazione alla professione di ingegnere anche civile. Un precoce moderno politecnico, una facoltà universitaria di ingegneria edile, tra le primissime in Italia.
Il vasto complesso, che occupa una superficie di oltre 5000 metri quadrati, lambendo ad est il fianco della quattrocentesca chiesa di San Pietro della antica abbazia benedettina, si attesta al limite del centro storico sulla linea delle mura atterrate; la composizione planovolumetrica è a
forma di C aperta a sud verso il Parco della Rimembranza, in angolo con Via Saragozza (sulla quale prospetta il fronte ovest del fabbricato).
Con l’Unità, nelle stesse forme e strutture rilevate nel disegno acquerellato (1828) firmato da un cadetto pioniere, l’edificio fu adibito a caserma (intitolata al generale Manfredo Fanti) e, senza sostanziali trasformazioni, vi fu negli anni mantenuta la funzione fino al suo esaurimento in tempi recenti e alla conclusiva dismissione dal demanio militare. Nel panorama nazionale non si conosce altro edificio fondato per la funzione militare in epoca preunitaria che, inalterato nelle essenziali strutture e nell’assetto stilistico, abbia mantenuto nel tempo la continuità storica in in quell’impiego.
Il fabbricato, trasferito dunque al patrimonio disponibile negli anni 90 del Novecento, nel 2004 fu acquistato dal Comune di Modena per essere poi l’anno successivo venduto alla Amministrazione Provinciale che intendeva farne la propria rinnovata sede. Già riconosciuto di interesse culturale con decreto ministeriale 2 novembre 1978 e perciò assoggettato alla disciplina di tutela della legge.
La relazione storico-artistica, parte integrante del provvedimento, analiticamente descrive consistenza e caratteristiche dell’edificio e in particolare dà atto che “il partito architettonico è articolato sutre ordini di aperture, regolarmente ritmate, al piano terra rappresentate da finestre quadrate, ai due piani superiori da finestre rettangolari;le aperture del piano nobile sono ornate da un timpano superiore orizzontale sorretto da mensole mistilinee” (assetto formale della costruzione che assume rilievo essenziale nelle valutazione del progetto di ristrutturazione,
come più oltre osserveremo). Afferma in conclusione la stessa relazione che l’“ex CasermaFanti presenta interesse storico artistico in quanto testimonia le tecniche costruttive antiche e la tipologia delle caserme militari della prima metà dell’Ottocento. Inoltre il bene per la sua ampiezza e la specifica articolazione edilizia esemplifica le modalità della crescita urbanamodenese nel secolo XIX e, per di più, per le soluzioni architettoniche e formali adottate, viene a connotare e a qualificare un’ampia porzione della città”. Una motivazione che a
rigore avrebbe dato ragione al riconoscimento di quell’interesse particolarmente importante che comporta il divieto di trasferimento ai privati.
Il vigente piano regolatore generale del Comune di Modena individua nelle sue tavole la Caserma Fanti come edificio di interesse storico e artistico, assegnato alla categoria di intervento per restauro scientifico.
La Provincia di Modena, con la riforma che delle Province ha mortificato le funzioni, ha nel frattempo perduto l’interesse a fare della Caserma Fanti la propria rinnovata sede e ha richiesto e ottenuto dalla Commissione regionale per il patrimonio culturale dell’Emilia Romagna (il
nuovo organo del ministero al livello regionale) l’autorizzazione alla vendita, accompagnata da generiche prescrizioni, ammessa la destinazione a residenza.
Dopo taluni incanti andati deserti, l’edificio a prezzo ribassato è stato acquistato dalla società Nobel srl, impresa di costruzioni nell’edilizia. Nel giugno 2021 quando sul fianco dell’edificio che si affaccia su Via Saragozza appaiono vistosi striscioni pubblicitari che annunciano la imminente conversione dello stabilimento dei pionieri reali e convitto matematico a nuovo luogo dell’abitare, in una lettera a Sindaco e Soprintendente, rimasta senza risposta, Italia Nostra, pone il problema della compatibilità dell’intervento, che trasforma la ex caserma
nel condominio di oltre trenta appartamenti, con la rigorosa disciplina conservativa chel’Amministrazione comunale e la Istituzione statale della tutela sono tenute a far osservare.
Solo nel momento in cui si è avuta notizia, si è con sorpresa appreso che il progetto era stato “autorizzato” dalla Soprintendenza
Italia Nostra sezione di Modena e Deputazione di Storia Patria delle Antiche Provincie Modenesi in un incontro richiesto e ottenuto il 10 novembre 2021 con l’Assessore all’Urbanistica e il Dirigente del Settore Edilizia Privata del Comune, hanno avuto la conferma che il progetto prevede la apertura di numerosi varchi – garage nei fronti dell’edificio verso Via Saragozza e la strada privata a nord e hanno appreso che la relazione tecnica che illustra il progetto, prodotta con la scia, motiva quella scelta come doveroso ripristino di preesistentioriginarie aperture (e i relativi tamponamenti sarebbero stati constatati). Ipotesi, documentalmente contraddetta dai conosciuti rilievi degli alzati disegnati nel 1828 da un firmato cadetto pioniere (raccolti in un dedicato fondo presso l’Archivio di Stato di Modena) che rappresentano al piano terra la continuità delle finestre in successione (a comporre quello speciale partito architettonico valorizzato, lo avevamosegnalato, nel provvedimento di vincolo del 2013). E alle forme rappresentate in quel disegno, di sei anni successivo alla sua fondazione (1822), l’edificio è rimasto fino ad oggi fedele.
L’interesse storico e artistico dell’edificio (un unicum abbiamo detto nel panorama nazionale) è stato riconosciuto dalla Commissione regionale per il patrimonio culturale, ma attenuato dalla considerazione (smentita dalla obbiettiva analisi della fabbrica) delle asserite trasformazione nel tempo; negato per altro al bene il valore di testimonianza della identità e della storia delle pubbliche istituzioni che lo avrebbe reso inalienabile [articoli 10, comma 3, lettera d) e 54 codice dei beni culturali]. E infatti la stessa Commissione si affrettò poi ad autorizzare la vendita ai privati, dettando generiche raccomandazioni di destinazioni compatibili con il carattere storico dell’edificio.
Prescrizioni tanto generiche che la Soprintendenza si è ritenuta legittimata ad autorizzare la impresa dell’edilizia acquirente all’asta (con i ribassi da taluni incanti deserti) a trasformare l’edificio neoclassico nel condominio di 32 appartamenti di lusso, secondo il progetto che frammenta gli spazi interni e ne stravolge la organizzazione per ampie camerate nella tipologia dettata dalla speciale e unitaria funzione storica, e perfino apre in un prospetto esterno i varchi di accesso ai garage di servizio. E’ palese la violazione delle vincolanti misure conservative del codice dei beni culturali che per i beni tutelati prescrive manutenzione e restauro (art.29), mentre i modi del restauro come tipico intervento edilizio sono regolati dal testo unico dell’edilizia nella definizione del suo art.3 (che esige il rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo edilizio). E violazione pure della vigente disciplina comunale di piano regolatore che registra nelle sue tavole la Caserma Fanti come edificio di riconosciuto interesse culturale e la assegna alla categoria di intervento per restauro scientifico con rigorose prescrizioni di rispetto non solo dei prospetti interni ed esterni, ma pure dell’impianto distributivo- organizzativo originale.
Un progetto, insomma, che portato a esecuzione costituirebbe uno sfrontato abuso edilizio, tanto più grave perché consumato su un edificio di riconosciuto interesse culturale, perfino abilitato dalla autorizzazione della Soprintendenza (quindi partecipe dell’abuso), se tollerato infine dalla Amministrazione comunale. Perché, se è vero che la semplificazione edilizia esonera l’ufficio tecnico comunale dal permesso di costruire, non lo solleva certo dal generale dovere di vigilare sulla attività urbanistico-edilizia e dall’obbligo specifico di verificare la conformità alla disciplina edilizia (certificata dal privato professionista) del progetto di intervento presentato con la segnalazione dell’inizio di attività; e di interdire la continuazione dell’opera quando la verifica sia negativa. Che è quanto insistentemente chiedono Italia Nostra e Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie Modenesi, sollecitando anche formalmente l’Amministrazione comunale di Modena (palesemente in imbarazzo quando la Soprintendenza abbia approvato) a far valere le proprie autonome regole, disponendo la doverosa immediata interruzione dei lavori per scongiurare irreversibili trasformazioni nelle strutture del monumento. E innanzitutto per non essere partecipe dell’abuso edilizio, perché, come è ben noto, non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.